Nell’after hours a Wall Street di ieri sera, il titolo Nvidia cresceva del 5%: la testimonianza che, ancora una volta, l’azienda di Santa Clara ha stupito i mercati.
Per quanto elevate, le attese sono state nuovamente battute, come ha confermato la trimestrale. I ricavi sono stati pari a $ 26 MD, ben oltre i $ 24,6 stimati, superiori del 18% a quelli dell’ultimo “quarter” 2023 e di uno stratosferico + 262% se confrontati con quelli di 1 anno fa. L’utile netto è balzato a quota $ 14,9 MD, contro previsioni di 13,1 MD, in crescita del 628% (seicentoventotto) rispetto a 12 mesi fa. Ma, come quasi sempre, il rialzo trova motivazione non tanto sul “qui e ora” (che poi è già “passato”, facendo riferimenti al fatturato del periodo 1/1-31/3) quanto, piuttosto, su quello che possiamo aspettarci nei prossimi mesi. La società, infatti, prevede, per il trimestre in corso, un ulteriore balzo in avanti, arrivando a toccare ricavi per $ 28 MD. Ma non solo: il dividendo crescerà del 150%, passando da $ 0,04 a $ 0,10 per azione. Azioni che, a loro volta, subiranno un “frazionamento” 10 a 1, mossa che renderà più accessibile un titolo che, ai prezzi di chiusura di ieri, valeva $ 949,5 (e quindi dovrebbe passare, ai prezzi attuali, $ 95 circa) e, quindi, probabilmente permetterà il suo acquisto anche a piccoli risparmiatori, rendendo il titolo ulteriormente liquido e trattato.
L’eccezionale risultato porta con sé un’altra buona notizia per gli investitori: analizzando il rapporto prezzo/utili vediamo che, ad oggi, il titolo è senza dubbio “caro” rispetto al settore, trattando ad un multiplo di 78 contro una media di settore di 23. Ma se guardiamo al dato “prospettico”, si scopre che il titolo tratta a multipli addirittura inferiori alla media di settore, grazie ad una crescita dirompente e, ancor di più, ad una marginalità sistematicamente superiore, con un operating margin salito del 983%.
Ma di non solo Nvidia vive il mondo. Un mondo che, a quanto pare, per quanto riguarda i conti aziendali, gode di un certo benessere.
Janus Henderson, società di Asset Management americana, è conosciuta per il suo Global Dividend Index, uno studio che, periodicamente, prende in considerazione gli utili (dividendi) distribuiti agli azionisti da parte delle aziende quotate “world wide” (un “panel” composto da 1.200 società).
In quello appena pubblicato, riferito al 1° trimestre, emerge che l’ammontare complessivo è stato pari a $ 339,2 MD, in aumento del 2,4% vso lo stesso periodo dell’anno scorso. Ma senza l’effetto di pagamenti straordinari una-tantum e gli effetti valutari, il dato sarebbe stato addirittura pari ad un + 6.8%, con ben il 93% delle società che hanno aumentato il loro risultato. Ma a generare fiducia sono soprattutto le prospettive da qui a fine anno: si calcola, infatti, che i dividendi distribuiti possano arrivare a ben $ 1.710 MD, con un aumento del 3,9% rispetto all’anno scorso, che arriva ad un + 5% se si escludono i dividendi straordinari pagati l’anno scorso.
Il dato italiano conferma, per l’ennesima volta, quanto ormai sia marginale il ns indice. Con una capitalizzazione inferiore a € 700 MD, il peso della borsa italiana è pari all’1% circa dell’indice globale. Una percentuale che trova conferma anche nella distribuzione dei dividendi: a marzo risultavano pagati utili per $ 3,7 MD (3,5 MD 1 anno fa). La nota positiva (si può sempre individuare una chiave di lettura positiva) è data dal fatto che, almeno per quanto riguarda gli andamenti aziendali, siamo “allineati” con il resto del mondo.
Quello che emerge in maniera piuttosto chiara, guardando ai prossimi mesi, a livello globale, almeno stando al report di Janus Henderson, è che la recessione è un rischio sempre più lontano e che, quindi, il tanto temuto hard lending ha pochissime probabilità di verificarsi.
Questa mattina i mercati del Pacifico non sembrano particolarmente beneficiare dell’effetto Nvidia.
I mercati cinesi, infatti, mostrano segnali di debolezza, con Shanghai che arretra dell’1,35% e l’Hang Seng di Hong Kong dell’1,76%.
Diversa la musica a Tokyo, dove il Nikkei è in rialzo dell’1,28%, a Seul (Kospi + 1%) e, in maniera quasi scontata, a Taiwan (+ 0,3%), trascinata dalla TSM (Taiwan Semiconductor Manufacturing), + 1,5%.
Futures ovunque in significativo rialzo, guidati dal Nasdaq (+ 0,92%).
Petrolio ancora giù con il WTI a $ 77,03 (- 0,80%).
Gas naturale Usa a $ 2,824, – 0,84%.
Oro a 2.363, – 1,32%, che si ulteriormente allontanato dal record di $ 2.450 di inizio settimana.
Spread a 127,6 bp, con il BTP al 3,83%.
Bund 2,53%.
Treasury 4,42%.
In leggero recupero il $, con €/$ a 1,0826.
Sui prezzi di ieri il bitcoin, a $ 69.386.
Ps: esattamente 73 anni fa (era il 23 maggio 1951) la Cina “imponeva” un accordo al Tibet, sancendo, di fatto, la totale sovranità da parte di Pechino su quel Paese, promettendo che sarebbero stati rispettati i costumi, le credenze e le usanze religiose, nonché la protezione dei monasteri lamaici. La storia recita cose un po’ diverse, come sta a testimoniare la rivolta esplosa nel 1959, che portò a devastazioni e migliaia di morti per mano dell’esercito cinese, e i Lama in fuga verso l’India. E un popolo che, da allora, ha visto via via distruggere la propria storia e la propria cultura.